Ha sette finestre la casa lucchese che mi accoglie ogni giorno. Quattro danno a settentrione, tre si affacciano a sud, direzione Pisa, e solo le chiome dei platani che impreziosiscono questo segmento delle Mura impediscono allo sguardo di spaziare oltre l'arborato cerchio.
In basso, invece, si apre un grigio parcheggio tutelato da arcigni ausiliari del traffico che controllano e ricontrollano il diritto alla sosta di una cinquantina di auto posizionate negli appositi stalli blu. Spietati, occhiuti, feroci, i "vigilini" comminano sanzioni come se piovesse. Fanno il possibile, e anche l'impossibile, per rendere poco attraente l'immagine della città al turista, al visitatore all'automobilista, tutti stretti tra la ZTL, la segnaletica direzionale non sempre chiarissima e la solita mancanza di spiccioli per il parchimetro. Inoltre, amici che in qualche rara occasione sono venuti a trovarmi e hanno avuto la malaugurata idea di lasciare la macchina in questo slargo, mi hanno reso edotto che la sosta dell'auto qui sotto costa quanto la rata di un mutuo.
Esagerano? Forse. Intanto, ho la netta sensazione che le visite amicali si diraderanno non poco... Ma vuoi mettere? Cosa vuoi che sia qualche ridimensionamento nella propria vita di relazione rispetto alla bellezza dell'affaccio su questo giardino in forma d'anello! A evitarmi qualche pericoloso attacco di sindrome di Stendhal, quel malessere psicosomatico che si manifesta con disturbi fisici e psichici alla vista di luoghi ad alta concentrazione di bellezza, ci pensa l'orrendo esempio di una costruzione militar-sabauda a sinistra della finestra, probabilmente destinata a essere a magazzino/deposito della truppa qui un tempo accasermata. Abbandonato da decenni, sono stati anche interrotti i lavori di ristrutturazione del brutto edificio che ha così assunto e mantiene i caratteri trascurati di un eterno, precario cantiere senza vita né futuro. Inguardabile. Spostiamoci quindi a nord. Se mi affaccio da una delle finestre settentrionali mi si offre uno splendido panorama di tetti dalle tegole rosse, di chiese e dei loro campanili... Riconosco la parte alta della facciata della bianca chiesa di San Michele in Foro, là dove Michele arcangelo, protetto da due angeli ai lati, trafigge un diabolico Satanasso; poi, la parte alta del campanile di San Martino, poi altri due campanili dei quali non riesco a individuare l'appartenenza. Tutto molto bello, peccato che anche qui, a nord, sia meglio non guardare in basso... Perché lo spettacolo cambia radicalmente e si fa desolato, deprimente. Infatti, il cortile dell'ex convento domenicano di San Romano, poi sempre ex caserma Lorenzini, si configura sotto la specie del caos: tubature da gasdotto siberiano abbandonate e ammucchiate, avvolte dalla vegetazione; una lunga fila di sacchi di plastica colmi di detriti, uno strano aggeggio, enorme, in forma di parallelepipedo provvisto di ventole; qua e là pozzanghere in piena o in secca a seconda della stagione, piccole aree circoscritte col nastro adesivo bianco e rosso favoriscono nell'osservatore un senso di sconfortante provvisorietà.
Inalterata la presenza bestiale: qualche raro gatto; topi che, se visibili dal terzo piano, tanto piccini non devono essere, un'avifauna ricca, mossa e vivace... Lo testimoniano i gracidii, i frulli d'ali, i versi rauchi simili a strani singulti che soprattutto sul far della sera evocano pensieri non belli, ma dolorosi e inquietanti. Un'area che andrebbe bonificata e pure con una certa velocità, più comodo invece mantenerla nelle condizioni di una no man's land, un po' discarica e un po' parcheggio per i soliti happy few...