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Scritto da luciano luciani
StoricaMente
22 Aprile 2025

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Ci sono tempi in cui le torsioni della Storia, quella grande, quella con la S maiuscola, impongono, a chi non ha ancora vent’anni, non solo sacrifici e sofferenze, ma anche di vivere più di una vita. Capita così, poco più di ottant’anni or sono, a un giovane di Nozzano Castello, piccolo borgo dell’Oltreserchio lucchese. Si chiama Alvi Frizza ed è venuto al mondo il 7 marzo 1925: quindi nell’autunno ’43, al momento dei bandi Graziani destinati ai giovani compresi tra le classi 1916-1926 e finalizzati a costituire le forze armata della Repubblica sociale, il Nostro ha appena poco più di diciott’anni ed è cresciuto in un clima paesano ma intriso già di fascismo e della sua retorica, del suo disprezzo per le idee e le pratiche della libertà e della democrazia.… E, a quanto pare, sono proprio i giovani del 1925, i diciottenni, quelli che rispondono con più entusiasmo alla leva neofascista. Le autorità saloine nell’enfasi bellica del momento forniscono la percentuale, piuttosto iperbolica, dell’82%. Fossero anche veri tali dati, è certo però che immediatamente iniziano le diserzioni “anche perché in pratica mancavano le caserme, le armi, i generi di casermaggio, essendo tutto requisito dai tedeschi per uso proprio: cosicché molti poterono tornare alle loro case e non ebbero molestie.” (Salvatorelli – Mira, 1969). Qualcuno ha scritto anche che i bandi di Salò erano i migliori strumenti di reclutamento per il partigianato.

Alvi viene inviato in Germania per l’addestramento. Divenuto tiratore scelto viene assegnato al Gruppo Esplorazione della Divisione Monterosa. Il fante piumato Frezza racconta di essere stato passato in rassegna dallo stesso Mussolini, che, avendo prestato il servizio militare come bersagliere nella Grande Guerra, accortosi che i suoi giovanissimi commilitoni erano privi dei tradizionali piumetti, li fa arrivare dall’Italia addirittura con un treno speciale! Sarà vero? Sembra una storia inventata, di quelle che fanno parte dell’epica dei ricordi della vita militare. Tant’è… Frizza è impiegato nel territorio di Siena, dove, rammenta con una punta d’ironia, “al loro arrivo, sono accolti dalla popolazione con lanci di fiori e dagli anglo-americani con un nutrito bombardamento.” (Stefani Umberto, a cura di, I Bersaglieri ieri e oggi, 2016). Passato con i partigiani nella zona di Parma, la sua qualifica di partigiano combattente rimanda al 5 ottobre 1944, Distaccamento “Turco” / 32° Brigata Garibaldi “Monte Penna”, nome di battaglia Friz. Una formazione partigiana, la sua, che agisce nell’Appennino ligure-parmense e che nell’estate ’44 riesce a costituire una delle repubbliche partigiane della Resistenza. Il mutamento di prospettiva militare e politica di Alvi avviene probabilmente all’inizio dell’autunno ‘44, quando quella zona è teatro dell’“operazione Wallenstein”, ovvero una serie di pesanti offensive portate dai nazifascisti contro i partigiani. Nell’inverno 1944-’45, per sfuggire a un rastrellamento tedesco, Alvi Frizza è costretto a rifugiarsi nei boschi dell’Appennino all’addiaccio e nella neve: un’esperienza che gli costa il congelamento degli arti inferiori e l’amputazione di alcune dita dei piedi.

Quali le ragioni che spinsero il diciannovenne Alvi a passare con le forze della Resistenza? Quali le esperienze che lo sollecitano verso una scelta definitiva, delicata e pericolosa, ma dalla parte giusta della Storia? Per saperne di più ho interpellato i suoi commilitoni dell’Associazione Nazionale Bersaglieri sezione di Lucca che mi hanno, però, parlato di una grande riservatezza in proposito dell’interessato. Certo, per lui, giovanissimo, privo di guide e di orientamenti, fu questione di non poca lena costruirsi autonomamente valori e pratiche di libertà e democrazia e mantenersi a essi fedele.

Per questo, ad Alvi Frizza, dovunque egli sia in questo momento, dedichiamo, queste note: per un ricordo, grato e riconoscente, lungo un secolo.

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