Anno XI 
Giovedì 16 Ottobre 2025

Scritto da giancarlo affatato
Politica
14 Ottobre 2025

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Un simpatico e colto giornalista di lungo corso, Giorgio Dell’Arti, in una sua rubrica si è posto il problema se, nella moderna società del terzo millennio, abbia ancora senso e sia ancora efficace, per le sorti della democrazia intesa come strumento decisionale di governo, il cosiddetto suffragio universale. In parole povere, se riconoscere a ciascun cittadino maggiorenne il diritto di esercitare l’elettorato attivo, ossia poter votare, e l’elettorato passivo, ossia potersi candidare per farsi votare, sia ancora lo strumento più adatto per selezionare chi ci debba governare, fare le leggi e decidere le dinamiche sociali, garantendo la permanenza dello Stato di diritto e della democrazia. Un interrogativo che, a prima vista, sembra abbastanza strano, se non addirittura eretico, per tutti i cittadini che vogliano continuare a godere di libertà e di diritti legati alla persona, ossia esercitabili dalle medesime. Ci si chiede, cioè, se nell’epoca della tecnologia, del continuo, veloce e strabiliante progresso e delle sue innovazioni, sia ancora utile e appropriato utilizzare uno strumento nato oltre duemilacinquecento anni addietro, nell’antica Grecia. Siamo chiari nel fugare ogni retropensiero, ogni eventuale recondito proposito di abolire la democrazia decisionale preferendo, alla stessa, sistemi autoritari e liberticidi. Siamo tra quelli che preferiscono la più sgangherata delle democrazie alla migliore e più perfetta dittatura. L’interrogativo, non peregrino né autoritario, si basa su una semplice riflessione: nell’era dell’informazione telematica, attraverso i social e l’uso esasperato dei mezzi informatici e della comunicazione, si condiziona e si confeziona l’opinione pubblica, ossia quell’opinione che orienta i convincimenti delle persone e ne determina gli stili di vita, quella stessa che i politici sollecitano, come precondizione, per poter essere votati. E quali sono i modelli di persone più graditi dal cittadino-elettore, secondo la vulgata corrente, l’opinione più diffusa, se non quelli che puntano sull’apparenza, non potendo esercitare la fascinazione della competenza e della cultura politica? Ha ragione Dell’Arti quando ci invita a osservare le foto di gruppo dei parlamentari degli anni ’60 del secolo scorso, per accorgersi che erano poco attraenti nell’aspetto, malvestiti e poco curati. Finanche le (poche) donne che sedevano in Parlamento avevano un aspetto ordinario e non brillavano per avvenenza. Consultare, invece, un’identica foto dei parlamentari di oggi mette in luce ben altra immagine: sia le donne che gli uomini sembrano usciti dalle pagine patinate di una rivista di moda. Avvenenti le donne, attraenti gli uomini, tutti in linea con i dettami della moda e dell’aspetto fisico gradevole. Certo, a marcare la differenza concorrono altri fattori, come la cura del fisico, la corretta alimentazione, le cure sanitarie e il miglioramento dei tratti somatici. Ma non è l’edonismo, l’immagine, a fare la differenza tra quell’epoca lontana e quella contemporanea, quanto il fatto che i parlamentari dell’epoca passata non erano dediti all’apparenza né all’essere giudicati per l’aspetto fisico. Costoro provenivano da una militanza politica, da un impegno quotidiano sui loro territori o negli apparati centrali dei vecchi partiti politici. Era gente esperta, che dava valore e peso al proprio impegno. Insomma, quei politici non campavano di avvenenza e simpatia televisiva, ma di lavoro. Erano scelti per il valore di una cultura e di un convincimento ideologico a cui avevano votato il loro agire. La morale che se ne potrebbe trarre ci conduce all’interrogativo su quali fossero allora e quali siano oggi i criteri di scelta dei candidati, e quale l’appeal, l’attrazione, che questi esercitano sull’opinione pubblica, ossia sul corpo elettorale al quale si rivolgono per ottenerne il voto. In una siffatta tipologia di società e di opinione pubblica — precondizione, quest’ultima, per accaparrarsi il voto — non servono i saperi né l’esperienza maturata sul campo, quanto l’essere gradevoli nell’immagine. Ed allora, perché non adeguare ai tempi anche il sistema elettorale e il principio del suffragio universale? Perché non modificare le regole dell’elettorato attivo e passivo? Perché non prevedere corsi di formazione obbligatoria per gli aspiranti candidati, da inserire successivamente in elenchi dai quali poter poi attingere per compilare le liste? Perché non inserire l’obbligo, per coloro che intendono esercitare il voto, di richiedere preventivamente l’iscrizione negli elenchi degli elettori, come avviene già negli Usa? Un sistema che responsabilizzi gli elettori ed erudisca i candidati. Ma ci vorranno anni per tutto questo, in una nazione ove il verbo “riformare” viene utilizzato come termine negativo, come lo era un tempo per quelli che venivano scartati alla leva militare.

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