Al capezzale del Belpaese, opera, da anni, un pessimo medico un sanitario che cura i sintomi ma ignora le cause dalle quali discendono le varie patologie delle quali è affetta la nostra nazione. Miglioramenti e continue ricadute sono il dato distintivo del decorso di una malattia ormai cronica: il debito pubblico (e l’alta tassazione che ne consegue), il bicameralismo perfetto e le sue lungaggini, la scomparsa dei partiti e di una decente ed avveduta classe politica democraticamente selezionata, frazionismo dei poteri, Stato onnipresente e gestioni clientelari dei servizi gestiti in regime di monopolio, sono le tappe di una Via Crucis che ci trasciniamo da sempre. Stazioni di un Calvario alle quali si aggiungono le grandi questioni irrisolte come quella meridionale, rimasta tale proprio perché dipendente dalle innanzi elencate patologie. Insomma per quanto intelligente e creativo sia l’italiano medio, tanto sgangherato e’ lo Stato che lo governa e che lo rappresenta. Ricorre, pertanto, prepotente, la pulsione di dover riformare l’esistente, consapevoli come siamo che buona parte delle reali potenzialità del nostro Paese siano state vanificate dal contesto nel quale si è costretti a vivere ed operare. Un'allegoria efficace per rappresentare questo stato di cose potrebbe essere quella di un pilota abile ed esperto, coraggioso quanto basti, ma che dispone di un modello di auto da guidare vecchia e rabberciata in più punti. Con le ricorrenti tornate elettorali cambiamo il guidatore ma non la macchina. Ne consegue che chi si mette al volante, per volontà degli elettori, presuma di poter vincere la corsa perché si sente il più bravo, senza però mai comprendere che è il mezzo a dover essere aggiornato.! Non aveva torto Indro Montanelli quando prefigurava per l’italiano, come individuo, la futura possibilità di poter primeggiare nei campi di suo interesse mentre gli italiani, presi nel loro complesso, ossia lo Stato e le istituzioni, non avrebbero mai potuto raggiungere traguardi di eccellenza. Lo stesso vale per le alchimie e le formule politiche che si susseguono per poter giungere al potere, alla guida della macchina statale scadente ed obsoleta. Ecco quindi comparire, nella cosiddetta seconda repubblica, il Polo del Buon Governo, la Casa e poi il Popolo delle Libertà sul versante di eentrodestra, e specularmente sull’opposto lato della barricata, i Progressisti, L’Ulivo ed oggi il Campo Largo. In realtà la formula della grande coalizione è servita più a far vincere le elezioni che a "rifondare" il sistema politico ed istituzionale. Per la cronaca, la medesima illusione che unendosi si sarebbe semplificato il quadro politico in modo da poter individuare con chiarezza le antitesi programmatiche e le alternative di governo esistenti tra i due blocchi , non ha funzionato neanche nel Paese che l’ha inventata: la Germania di Angela Merkel. Così come non hanno funzionato i governi dei tecnici, rivelatisi una finzione, un temporaneo espediente. Una volta assurti al potere questi si sono infatti limitati a cambiare le cure sintomatiche ma non ad assumersi, in quanto non eletti dal popolo, le responsabilità di riformare il sistema. Anzi sono stati ben due in Italia i premier tecnici che hanno addirittura fondato un partito: Lamberto Dini e Mario Monti. Ma vi è di più: i partiti rimasti fuori dalle grandi coalizioni hanno sempre accresciuto il proprio consenso alle successive elezioni: vale per Lega e Cinque stelle, ma anche per Giorgia Meloni in Italia e per l’Afd in Germania. Allora non è questione di uomini alla guida del governo, oppure di formule politico-parlamentari né tantomeno di sistemi elettorali, maggioritario o proporzionale che sia. In questo ripetersi di erronee illusioni e di formule, è sempre meno difficile interrogarsi sulle cause della disaffezione dalla politica, ancorché il popolo stesso, chiamato a ratificare con un referendum, ha bocciato ben due leggi di riforma costituzionale. Una di queste cause è senz’altro l’impressione dell’elettore di non poter scegliere chi lo governi, e che quantunque cambi scelta non cambi mai nulla nel sistema politici ed istituzionale. L’impressione si è rivelata più volte corretta, nell’Italia degli ultimi trent’anni. Ora molto timidamente si risentano le buone intenzioni di riformare l’assetto istituzionale, e parte della successo della Meloni è proprio la linearità del percorso che indica in tal senso. Cosa resta da fare allora a coloro che sperano in reali cambiamenti? Iscriversi al partito degli astenuti, dei qualunquismi e degli scontenti, oppure creare una grande forza riformista cercando tra coloro che prima di mettersi insieme per prendere voti, assumere quote di potere, si ritrovino intorno al basilare, ormai imprescindibile progetto di cambiare la macchina prima che il guidatore. Un codice di Camaldoli, un Manifesto di Ventotene, ossia dichiarazioni di principio su cosa e come cambiare la costituzione e le leggi fondamentali dello Stato? Difficile a farsi? Certamente si! Ma di converso quale sarebbe l’alternativa: forse il generale disimpegno che lasci ai meno capaci, agli opportunisti, ai traffichini ed ai meno onesti il governo delle cose che sappiamo essere, in buona sostanza, il governo degli uomini. Tutti noi compresi!!



